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i migliori vini scelti per voi

L’illuminazione nelle bottiglierie

Articolo pubblicato su: Immobili&co L'ideazione del progetto della luce e dei sistemi di illuminazione artificiale e di lighting design. L'intervento dell'architetto-wine designer nei casi di riqualificazione edilizia o costruzione ex-novo di una bottiglieria residenziale. In questo terzo articolo Cantine fatte ad Arte® e Laura Frattini Sommelier “Wine Consulting & Executive Director” si occuperanno dell'importanza della luce e dei sistemi di illuminazione artificiale in una cantina per la conservazione delle bottiglie. Il confronto, nel solco di quanto già tracciato nei precedenti due articoli, tra riqualificare e costruire ex-novo una bottiglieria residenziale comporta anche per gli interventi di illuminazione importanti impegni economici, a seconda se si sceglie di realizzare l'opera impiantistica solo ai fini del rispetto degli obblighi funzionali e di sicurezza dell'ambiente oppure se si decide di implementare il sistema anche da un punto di vista estetico e di lighting design. Bottiglieria Thurston Wine House, Arizona, USA La progettazione e la realizzazione dei sistemi di illuminazione in una bottiglieria dovrà tener conto di alcune accortezze, perché l'uso inadeguato e mal calibrato della luce in questi ambienti potrebbe cagionare gravi danni alla bontà e qualità del vino. Un esempio comune riguarda il vino bianco conservato in bottiglie di vetro chiaro. In questo articolo non verranno presi in considerazione gli arredi eno-industriali ed armadi bottiglierie termoregolati ma il nostro riferimento riguarda le “bottiglierie residenziali” con anche un’ampia superficie e elevata capienza quantitativa di bottiglie ove si tiene conto anche le più banali operazioni artigianali di travaso e d’imbottigliamento da e per contenitori più grandi come per esempio le damigiane. Quali sono le funzioni che deve assolvere la luce in un ambiente come la “bottiglieria residenziale”?a) Illuminare l'ambiente al fine di consentire la percorribilità nella completa percezione dello spazio fisico, garantire una buona visibilità anche degli arredi, permettere le più normali operazioni di lavorazione e movimentazione, garantire manovre in totale sicurezza antinfortunistica, etc.; b) In aggiunta, a corredo, dotare l'ambiente da un punto di vista estetico in grado di abbellire la bottiglieria residenziale mediante l'apposizione di punti luce suggestivi per ampliarne la valenza estetica e creare situazioni e atmosfere emozionali. La norma UNI EN 12464-1 del 2011 ("Luce e illuminazione - illuminazione dei posti di lavoro - Parte 1: Posti di lavoro in interni") In questa normativa sono riportati i requisiti della luce e l'illuminazione che devono essere rispettati per le persone nei posti di lavoro interni, ma non stabilisce una grandezza fisica precisa e ben definita per le bottiglierie e per le sale di degustazioni, quindi occorre interpolare con valori di determinate tipologie di ambienti simili entro i quali bisogna attenersi. Qual è il valore dell'unità di misura in Lux più idonea e richiesta per le bottiglierie residenziali?Per gli ambienti come le bottiglierie residenziali, in cui la conservazione delle bottiglie rappresenta un momento fondamentale per l'affinamento del vino, messe a riposare su scaffali di legno o ferro, o cellette in muratura, e dove la presenza umana è ridotta alla visita del solo proprietario e da qualche amico/visitatore nei momenti della degustazione, si consiglia di fare rispettare due misure principalmente (anche qui, sempre valutando di volta in volta le condizioni e le situazioni generali che si vengono e si vogliono creare): - Bottiglieria, solo per la conservazione e messa a riposo delle bottiglie con finalità di "magazzino": Lux 100; - Bottiglieria con annessa sala di degustazione, e dunque con una maggiore presenza di personale e via vai, ed eventuale esposizione delle bottiglie in mostra su scaffali appositi: sala degustazione Lux 200 scaffali/casellari Lux da 100 a 300 Naturalmente questi valori, benché formulati dalla normativa, è bene che siano valutati di volta in volta a seconda della concezione del progetto e di quello che si vuole ottenere rispetto le soluzioni estetiche, di design, della ubicazione della bottiglieria rispetto la residenza, delle condizioni esterne rispetto l'illuminazione naturale e quant’altro. Toni e colori delle luciProspicienti alla bottiglieria, le luci non dovranno mai essere forti e accese, abbaglianti (se non per facilitare le operazioni di svinatura e travasi, ma questo riguarda specificatamente i casi di cantine e bottiglierie aziendali che devono garantire le fasi lavorative in sicurezza), ma esse dovranno essere di tonalità calda, tenue, e preferibilmente colorate atte a creare atmosfere suggestive ed ambienti emozionali per far in modo di esaltare la bellezza di alcune parti più interessanti della bottiglieria, se ci sono, e sala di degustazione. Le luci bianche e molto accese si utilizzano nei sistemi di illuminazione d'emergenza per segnalare vie di fuga in sicurezza e che devono essere predisposte e collocate in modo tale da non arrecare danno alle bottiglie messe a riposo. Quando dal flusso luminoso proveniente dai sistemi di illuminazione e dai punti luce si ha una intensità costante direzionata sulle bottiglie a riposo queste potrebbero subire un surriscaldamento inopportuno ed il calore prodotto di conseguenza potrebbe arrecare danni al vino. Bottiglieria con impianto luci Lux et Vinum Cosa si intende per “Gusto di Luce” o “Goût de Lumière”?Si tratta del difetto per antonomasia che deteriora i vini chiari durante la loro conservazione in bottiglie chiare attraverso l’utilizzo (anche non frequente) di una luce sbagliata questo è definito “Gusto di Luce”. Nella pratica le lunghezze d'onda dello spettro di luce al di sotto dei 523nm, dagli ultravioletti al blu, provocano l’ossidazione dei componenti solforosi, mentre la luce blu altera la Riboflavina, causando alterazioni nella struttura biologica del vino e di conseguenza influenzando le caratteristiche aromatiche (colore, sapore e profumo) durante l'affinamento in bottiglia. Oggi sul mercato ci sono aziende che con la loro esperienza nel campo dell’illuminotecnica hanno infatti progettato una luce ambra-arancione che risolve e azzera i difetti come il "Gusto di Luce, incorporandola in una gamma di corpi illuminanti funzionali e decorativi studiati appositamente per essere installati nelle bottiglierie residenziali e aziendali. In questo modo, si evita a molti produttori di vini di mascherare tali difetti attraverso l’utilizzo di sostanze chimiche. Dimostrazione c/o lo studio di Cantine fatte ad Arte® della gamma luci Lux et Vinum, azienda Atena Lux srl Cantine fatte ad Arte® - Arch. Edoardo Venturini viale Stazione,

Trattoria alla Stella

APPUNTI DI VIAGGIO: “Ricette veneziane del buon pesce sulla tavola della storica Trattoria alla Stella, ancorati alla tradizione da oltre 70 anni…” Percorrendo la nota Statale Romea mi trovo nella piccola cittadina di Lova, vicino a Padova e non troppo distante da Venezia. Quando è possibile alternare l’autostrada a percorsi alternativi è sempre un vantaggio per chi ama viaggiare, perché consente di esplorare e scoprire luoghi e locali nuovi, che con il percorso in autostrada sarebbe impossibile conoscere. Proprio quello che è capitato a me, andando a velocità da passeggiata e osservando fuori dal finestrino della macchina, lo sguardo mi cade nell’osservare un particolare edificio dalle dimensioni e dall’architettura davvero insolita ed originale… Leggo l’insegna: “Trattoria alla Stella” e vista l’ora approfitto per documentarmi ed arricchire il mio bagaglio eno-gastronomico. Oltrepasso un antico ponticello ed ecco una piacevole sorpresa, perché dal 1880 questa è la trattoria più antica delle valli veneziane! La storia racconta: Il Doge di Venezia Marcantonio Memo sin dal 1612 rilasciò licenza di esercizio per questo locale ai primi proprietari, e qui l’imperatore d’Austria nell’Ottobre del 1888 posteggiò la sua carrozza proprio qui per andare a cacciare nelle vicine Valli di Lova (Perimpie). Conosco i proprietari, la famiglia Zini, che porta avanti da oltre 70 anni questa attività, e con cortesia e gentilezza mi fanno accomodare in una delle quattro ampie sale. Ambienti tradizionali ma molto accoglienti, con arredi volutamente lasciati retrò che personalmente trovo più che adeguati, un vero tuffo nel passato. Il profumo di pesce è nell’aria “Qui c’è un forte legame territoriale e si rispecchia la vera cucina tradizionale veneziana” I camerieri ordinatamente e con professionalità escono dalla cucina con piatti molto invitanti, (se non fosse che la gola invita ad ordinarne il più possibile….) tengo a freno l’acquolina e mi lascio tranquillamente consigliare su come orientare al meglio la mia scelta: come inizio accetto di buon grado di assaggiare, dopo tanto tempo, quello che rappresenta da sempre una vera “prelibatezza”: la granseola. Questo nome deriva dal veneziano granso (granchio) e seola (cipolla); questo crostaceo nutriente e poco grasso (per i piatti di portata si prediligono le parti più magre), ha la qualità di granchio più grande per dimensione, con una componente salutistica non da sottovalutare, ricco di potassio e fosforo. Dopo un breve confronto chiedo qual è il modo in cui viene servito, quello che consente di percepire il più possibile la sua delicatezza e la sua dolcezza/rotondità al palato... Senza avere condimenti troppo invadenti. Ebbene, mi dicono, vengono seguiti procedimenti semplici per mantenere inalterate le proprietà nutritive e preservarne il gusto, la granseola viene solo leggermente sbollentata e servita con olio e limone. Al palato percepisco una squisitezza e freschezza che non ha eguali, la polpa non risulta né gommosa né stopposa ma gradevole. I proprietari vengono direttamente ai tavoli e ci tengono a ribadire che la loro filosofia è improntata sulla massima qualità del pesce, cucinato da mani esperte e che arriva fresco ogni giorno pronto da cucinare e servire subito in tavola: autentico sapore di mare! La portata successiva mantiene alto il livello qualitativo: riguarda uno strepitoso “risotto al branzino e gò” in bianco, delicato e profumato, con una perfetta cottura che ne garantisce la degustazione al suo meglio. Che cos’è il “Gò”? Un abbinamento per concordanza è la scelta più giusta da fare a parere mio, perché il suo scopo è quello di sostenere la delicatezza del piatto senza coprire o contrastare in alcun modo il gusto delicato: decido di orientarmi su un vino fermo e leggero, con poca acidità, di struttura media. La mia analisi sui vini del territorio (Veneto), ma anche puntando al Friuli Venezia Giulia, mi porta a suggerire i seguenti vini: Un Breganze Bianco Superiore Doc, zona di provenienza Vicenza (12 gradi) Un Lison-Pramaggiore Verduzzo Doc, zona di provenienza Friuli Venezia Giulia (pn) ma lo si trova in Veneto, a Treviso ed a Venezia (11 gradi) Un Soave Classico Doc, zona di provenienza Verona (10,5 gradi) Seguendo però obbligatoriamente la loro carta dei vini, tra l’altro ben strutturata e chiara, con un’ offerta non troppe ampia ma accurata, (divisa per regione ma con prevalenza al Veneto), quello che mi ha colpito ed incuriosito alla degustazione è stato il “Bianco di Custoza” dell’Azienda agricola Cavalchina. Questo vino di Custoza è costituito dall’uvaggio di diversi vitigni (40% Garganega, 30% Fernanda “clone di Custoza”, 15% Trebbiano e 15% Trebbianello “clone di Tocai”). Analisi organolettica-sensoriale Al calice appare un inconfondibile colore giallo paglierino con riflessi tendenti al verde, una lieve aromaticità che non disturba, ma anzi trovo apprezzabile. Al naso si apre con profumi delicati prevalentemente di fiori bianchi: in bocca si riscontra subito un buon equilibrio la giusta sapidità e il perfetto grado alcolico 12,5% . Un vino elegante che ha saputo accompagnare armoniosamente la mia granseola: forse per il risotto potevo optare per un'altra tipologia, ma questo vino è soddisfacente per accompagnare anche altri piatti. Viva il buon pesce, la qualità in cucina e la volontà di trasmettere amorevolmente e cordialmente la tradizione e la storia regionale, mettendoci tanto impegno quotidiano. Ti è piaciuto l’articolo? Puoi iscriverti al servizio di notifica o lasciare un commento!

TENACIA ED IMPEGNO DI UN UOMO IN UNA TERRA INESPLORATA

TENACIA ED IMPEGNO DI UN UOMO IN UNA TERRA INESPLORATA Agro Pontino: alla ricerca della massima simbiosi tra vitigno e territorio. Il 5 Marzo 1914 in Amatrice, Emidio, Isidoro ed Antonio Santarelli costituiscono la “Ditta Berardino Santarelli & Figli” che porta il nome del Fondatore Berardino, Mercante di Vino. Negli anni successivi, i suoi tre figli si trasferirono a Roma, aprendo il primo “Vini & Olii” in Piazza Capranica 99, nel cuore della città. Gli anni passano, e con il trascorrere del tempo la Ditta si sviluppa, aprendo in diverse zone della città, con altri 11 “Negozi di vendita”. Dino Santarelli, figlio di Emidio, nel 1955 fonda a Roma la “Santarelli S.p.A.” dedicandosi all’imbottigliamento dei Vini tipici del Lazio, esportati anche all’estero, in particolare in Canada. Nel 1967, Dino Santarelli, affascinato dall’Agro Pontino, crea “Casale del Giglio”, a Le Ferriere in provincia di Latina, non lontano dall’antica città di “Satricum” sorta V sec. a.C. , situata a circa 50 km a sud di Roma. Nello stesso periodo, i “Vini & Olii” vengono ceduti, ad eccezione di quello di Piazza Capranica trasformato in ristorante, ancora oggi di proprietà della famiglia e denominato “Il Collegio”, un ambiente moderno curato nell’arredo con cucina a vista. Questa struttura a doppia altezza che ha conservato le volte originali, con ampi spazi, molto accogliente e con un ricco menù di proposte anche tradizionali. Ottimo l'assortimento di vini, sia della casa sia nazionali ed esteri. Elemento di distinzione di questo territorio, rispetto ad altre zona del Lazio e ad altre Regioni d’Italia, era costituito dal fatto che rappresentava un ambiente nuovo, tutto da esplorare dal punto di vista vitivinicolo. Qui mi si apre una riflessione oggettiva: non tutti sono disposti a fare una simile scommessa. Va sicuramente premiata la caparbietà di puntare oltre una certa meta mai comprovata prima e la fiducia riposta nella sperimentazione enologica. La svolta è avvenuta nel 1985, quando l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio ha autorizzato il progetto di ricerca e sviluppo “Casale del Giglio”: l’azienda mette a disposizione tutti i terreni, la manodopera, i macchinari e tutto il necessario per impiantare un vigneto sperimentale di grande rilievo. QUAL’E’ L’OBIETTIVO FINALE DEL CASALE DEL GIGLIO? L’Obiettivo finale del progetto punta ad un incremento qualitativo della produzione vinicola considerando l’eco sistema viticolo di partenza e tutte le sue possibili forme evolutive. A partire dagli anni ’90, il figlio Antonio Santarelli, seguendo l’intuito e la lungimiranza paterna, si avvale della collaborazione del giovane Enologo trentino Paolo Tiefenthaler che ricoprirà un ruolo fondamentale. Sinergicamente svilupperanno un intenso progetto di ricerca e sperimentazione mettendo a dimora 60 vitigni, dando vita ad una collezione varietale che dopo tre anni consente di vinificare un gran numero di cultivar: lo scopo era quello di comprendere al meglio l’interazione tra vitigno e territorio, riuscendo a dare una identità precisa e chiara a quei vini di quello specifico territorio. Si sono ottenuti ragguardevoli risultati da questa avventura complessa e se vogliamo dire anche rischiosa in quanto non vi erano certezze in partenza. Il Petit Verdot è stato il vitigno che ha risposto al meglio. Queste ricerche hanno tratto spunto dai modelli di coltivazione viticola praticati a Bordeaux, in Australia ed in California. Tutti sono accumanati dal fattore importante dell’esposizione verso la costa, e nel caso in questione anche L’Agro Pontino beneficia dell’influenza del Mar Tirreno. Gli esperti insieme ad Antonio Santarelli all’unanimità dichiarano come i terreni bonificati dell’Agro Pontino fossero un’area inesplorata su cui tentare tutto il nuovo possibile. L’assenza di passato enologico è diventata così lo stimolo determinante verso il massimo grado di libertà innovativa. I primi risultati positivi di questa piramide produttiva li hanno dati le uve rosse di Syrah e Petit Verdot, e le uve bianche come Sauvignon, Viogner e Petit Manseng, dando così vita a diverse etichette da monovitigno oppure da assemblaggio, con un buon rapporto qualità-prezzo. Da evidenziare due auctononi. Il primo è il Bellone (Lazio bianco IGT), vitigno antichissimo diffuso nel Lazio già in epoca romana e citato da Plinio come “uva pantastica”; si ottiene il vino soprannominato “Anthium”. Il secondo molto interessante è il Biancolella di Ponza (Lazio IGT), varietà originaria della Campania, ora autoctona laziale, importata sull’Isola di Ponza da Ischia nella metà del ‘700, ai tempi del Regno di Napoli, sotto i Borbone. La coltivazione nel Lazio è autorizzata unicamente sulle Isole Ponziane, su di un piccolo altipiano su cui si erge maestoso il Faro della Guardia, da cui prende il nome questo vino di Casale del Giglio. SATRICUM e le sue bellezze archeologiche Accanto alla viticoltura, l’azienda segue da tempo il progetto archeologico di Satricum, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale. Gli scavi hanno consentito l’individuazione della “Via Sacra”, che conduceva al Tempio della “Mater Matuta”, ed il ritrovamento di un calice in ceramica usato per il vino risalente al V Secolo a.C.: già in quell’epoca era presente coltivazione viticola e la produzione del vino. LA STORIA DEGLI SCAVI La storia degli scavi di Satricum inizia nel 1896 quando il francese Hector Graillot scoprì sulla collina di Le Ferriere i resti del tempio dedicato alla dea Mater Matuta. Fino al 1898 si intraprese una lunga campagna di scavo sotto la guida di archeologi italiani, con cui vennero portati alla luce molti reperti, ora conservati al Museo di Villa Giulia in Roma. Dopo un periodo di interruzione intorno al 1910 ripresero gli scavi: poi nel 1975 il Comitato per l’Archeologia del Lazio chiese all’Istituto Olandese di Roma di occuparsi della ricerca archeologica di Satricum. Si ottennero molti risultati tra cui il ritrovamento del “Lapis Satricanus”, una base di pietra con un’iscrizione in latino arcaico databile tra il 525 e il 500 a.C. Filosofia di Casale del Giglio Antonio Santarelli sostiene che lo sviluppo futuro della vitivinicoltura italiana non risiede solamente nel consolidamento dell’immagine di zone dalla grande tradizione, ma anche nel raggiungimento, attraverso opportune scelte viticole ed enologiche, di produzioni di alto livello, caratterizzate dal giusto rapporto qualità-prezzo, in territori ancora poco conosciuti dal punto di vista del

Il Formaggio di Fossa “Celli” tra Innovazione e Sperimentazione.

Il Formaggio di Fossa “Celli” tra Innovazione e Sperimentazione. Pura artigianalità, cure peculiari e miglioramenti nella fase produttiva. Questa è la mia seconda visita in Casa Celli, graditissima perché oltre la squisitezza che li contraddistingue come persone, hanno piacere di condividere con me una produzione aggiuntiva, e l’argomento che andremo ad affrontare è veramente molto interessante. Parallelamente all’attività di norcineria (articolo precedente sul “Prosciutto di vino” di Maggio ‘19) e macelleria di eccellenza, da qualche tempo il figlio Marco Celli, dopo aver viaggiato ed essersi documentato e confrontato con persone che sono nel settore da decenni, si è specializzato come “affinatore di formaggi” dando vita ad una gamma di prodotti caseari unici, diversificati e particolari tra loro, riuscendo a trovare la giusta combinazione con prodotti del territorio. Questa guida itinerante sarà un appuntamento periodico, dove illustrerò attraverso varie video-interviste a Marco Celli ogni singolo formaggio ottenuto dalla sperimentazione ed innovazione di questo intraprendente affinatore, che punta a valorizzare il proprio territorio unendo alle ricette tradizionali un tocco di originalità. Il primo prodotto caseario di forte interesse è il Formaggio di Fossa Dop la cui storia si perde nel tempo, e già nel Settecento veniva considerato un tesoro. Le tecniche d’infossatura si sono evolute diventano mano a mano più raffinate, lo si festeggia nel mese di Novembre in un contesto rurale quale il borgo romagnolo di Sogliano sul Rubicone (Romagna). Con quest’anno siamo alla 45° edizione della fiera del Formaggio di Fossa, dove si raduna la folla delle grandi occasioni e si ritrova il vociare genuino e cordiale della Romagna sincera. Si organizzano visite guidate con cadenza domenicale per Santa Caterina, per assistere a questa consuetudine molto tipica, “la sfossatura”, ma anche per il luogo suggestivo dove avviene, ovvero le antiche grotte di tufo: ovviamente c’è la possibilità di acquistare il formaggio appena estratto, restando, come me, inebriati dal suo profumo pungente, intenso ed ineguagliabile. COME AVVIENE IL RITO DELLA PREPARAZIONE? La preparazione della fossa comincia qualche giorno prima dell’infossatura, quando personale esperto comincia a bruciare paglia all’interno della fossa, allo scopo sia di togliere l’umidità accumulata e sia per una sorta di sterilizzazione contro certi germi che potrebbero nuocere durante la fermentazione. Si passa poi al rivestimento delle pareti, per isolare il tufo con uno strato di circa 15 cm di paglia: questa è sostenuta da un’impalcatura di canne verticali legate orizzontalmente con cerchi di legno, e sul fondo vengono sistemate delle tavole di legno. A questo punto la fossa è pronta per ospitare il formaggio, e viene chiusa con tavole di legno coperte di sabbia, per essere riaperta tre mesi dopo per Santa Caterina (a miracolo compiuto); durante questo periodo, grazie alla fermentazione anaerobica e alla sgrassatura il formaggio acquista la sua fragranza inconfondibile, molto persistente e forte. I TRE FATTORI CHE DIFFERENZIANO IL FOSSA DI “CELLI”. ANALISI ORGANOLETTICA FINALE: Questo pecorino si presenta cremoso, avvolgendo il palato con la sua scioglievolezza. La caciotta bucciata viene deposta in fossa a monte del momento d’inizio del processo, scegliendo la sola infossatura primaverile, che dona aromaticità non invasive, per via della fermentazione meno surriscaldata che caratterizza questo ambiente ideale, mantenuto fresco e con un clima stabile nella fossa, per tutti i 3 mesi di maturazione. In questo luogo il formaggio ha modo di riposare e traspirare: questo fa si che il processo non alteri la materia prima, facendo fiorire un sapore deciso che avvolge le forme, fatte con latte in purezza di sola pecora, equilibrato dalla dolcezza omogenea in ogni angolo, con note che diventano leggermente piccanti solo verso l’esterno del formaggio. Persistente in bocca dopo la masticazione, e il suo odore intenso rimane gradevole ed interessante, tale da non essere respingente, ma al contrario invogliandoci all’assaggio immediato. La pasta è di un bianco sporco, con presenze di aloni a chiazze sulla crosta, color arancio tenue sfumato. La grana è semidura, scagliosa, caratteristica con rade occhiature da cui lacrimifica un siero oleoso, dato dalla sua sudorazione in fossa. La forma è ovalizzata, ottenuta dalla posizione voluta e studiata nel processo di infossamento. Le ricette e gli accostamenti Il Fossa è un ottimo passepartout a tavola, sin dagli antipasti: eccezionale con il Savor (marmellata tipica dell’Emilia Romagna composta da mosto d’uva e zucca, frutta di stagione, frutta secca, scorze di agrumi), con i fichi caramellati, con il miele, ma assolutamente da provare anche l’abbinamento con il Foie Gras. Primi piatti romagnoli quali gnocchi, passatelli o cappelletti e ravioli. Una gustosa ricetta sono i bocconcini verdi, gnocchetti composti da erbette di campagna, ricotta, formaggio di Fossa D.O.P. e Parmigiano, solitamente serviti con il ragù. Un altro piatto tanto semplice quanto appetitoso è quello composto da tagliatelle, guanciale di maiale croccante e formaggio di Fossa D.O.P. tagliato a scaglie. Secondi piatti quali la costata o il carpaccio di manzo, sui quali viene grattato grossolanamente. Il formaggio di Fossa D.O.P. è altrettanto adatto per dare un nuovo e originale sapore ad insalate e altre verdure cotte o crude: può essere infatti aggiunto a dadini oppure fondersi con zucchine o patate ripiene, ma anche con il radicchio, visto che il sapore amarognolo di questo ortaggio viene ben smorzato da quello deciso del latticino. Un altro abbinamento vincente è quello con la zucca, grazie alla quale realizza una formula perfetta per scaldare gli inverni più freddi. Può essere sotto forma di zuppa oppure di quiche, ossia una torta salata in pasta sfoglia ripiena di zucca tagliata a tocchetti e formaggio di Fossa D.O.P. Quali sono i vini più indicati per un Formaggio così unico ed intenso? Un formaggio che resta in bocca a lungo va sicuramente accompagnato con vini dotati di struttura e grande morbidezza, come un Amarone classico (di annata non recente), un grande Sangiovese di Romagna con un bell’invecchiamento (una riserva con 7/9 anni quindi un 2010 o 2012 sarebbe l’ideale) bene anche un Taurasi o un Aglianico datati, oppure un bel Barolo, Barbaresco o un Brunello di annate importanti. Se abbiniamo al Fossa la confettura, suggerisco di accompagnarlo con un marsala dolce di 10

Toscana: a tavola alla Trattoria da Bibe

TOSCANA A tavola alla Trattoria da “BIBE” …. Passaggi memorabili di clienti illustri, ricette su quaderni ingialliti, oltre 150 anni di attività per preservare i veri sapori della cucina toscana! Trattoria del ponte dell’asse e vendita di sali e tabacchi…. Dalla metà dell‘800 ad oggi, una delle più antiche trattorie fiorentine, forse l’unica ad appartenere alla stessa famiglia da cinque generazioni! Quando si decide di fare una gita fuoriporta e ci si trova nei pressi di Firenze, nello specifico all’Impruneta, dove la visuale si perde sull’alternanza di colline traboccanti di ulivi e vigne, e siamo a confine di una zona tra le più famose al livello vinicolo come è quella del Chianti Classico, si pensa, dandolo per scontato, che trovare un ristorante con una buona cucina non sia così difficile, ed allora improvvisare senza leggere troppe recensioni on line può regalare delle belle sorprese e portare conoscenze interessanti. Vogliamo aggiungere un po’ di fortuna o intuito, ma questo è quello che è capitato a me. Spesso quando viaggio rimango colpita dai luoghi poco pubblicizzati; una sola piccola insegna sul ciglio della strada e nulla di più, e poi dal parcheggio si snoda un grazioso, lussureggiante e stretto sentiero pedonale, e quando si arriva si capisce subito perché al locale non servano tante indicazioni o pubblicità. La storia di questo locale narra che un lontano parente diede vita a questa attività nei primi anni dell’800: trascorsero poi degli anni bui in quanto egli se ne andò a combattere nelle steppe russe, e per miracolo riuscì a tornare nella sua Toscana, e solo allora riuscì nel suo intento, riprendendo la sua attività di oste, che trasmise ai figli ed ai nipoti, fino a quando il nonno dell’attuale gestore nei primi anni del secolo scorso si mise a capo dell’azienda e la rese famosa. L’origine del nome “BIBE” dal latino “bevi” Il Sig. Andrea Baudone mi narra che suo nonno aveva un nome assai particolare ed impegnativo: Paradiso, forse per questo tutti lo chiamavano “Bibe”. Un oste che sapeva farsi amare dai suoi clienti, tanto che lo stesso celeberrimo poeta Eugenio Montale colpito dalla sua figura e dal luogo gli dedicò una poesia, pubblicata nel 1937 nella raccolta “Le Occasioni”: Bibe al ponte dell’Asse. Bibe, ospite lieve, La bruna tua reginetta di Saba Mesce sorrisi e Rufina di quattordici gradi. Si vede in basso rilucere la terra Fra gli aceri radi E un bimbo curva la canna Sul gomito della Greve. Oggi quella brunetta è ancora in cucina, e con il sostegno e la grande partecipazione degli altri membri delle generazioni successive mantiene viva la tradizione del locale: un perpetuarsi di consuetudini che non devono essere dimenticate, ricette tramandate oralmente, oppure rileggendo vecchi ricettari consumati, l’importante è trasmettere questa passione per l’autentica cucina toscana che rappresenta patrimonio del territorio ed è il perno centenario della trattoria. Leggendo le loro proposte non è facile la scelta, si vorrebbe assaggiare un po’ tutto, ma è una missione impossibile! È una selezione varia ma non amplissima e questo io lo apprezzo davvero: volutamente primeggia una cucina strettamente legata al territorio e alla tradizione, puntando sulla freschezza e stagionalità dei prodotti e dando valore ai sapori toscani….quelli di una volta! Senza farvi impennare troppo l’acquolina posso accennare il loro ventaglio di proposte, accompagnati nel week end dal profumo inebriante del pane e della “schiacciata” appena sfornati dal vecchio forno a mattoni: Matteo (l’ultimo discendente) ha voluto mantenere questa usanza, ogni domenica mattina puntualmente c’è la fila della gente fuori della trattoria che viene appositamente per comprarlo! Tornando al menù, tra gli antipasti in automatico arriva un assaggio di panzanella, poi la scelta punta su un’ottima selezione di salumi di cinta senese, fiori di zucca ripieni e fritti, flan di verdure e/o formaggio, crostone al lardo di colonnata! A seguire le gettonate zuppe toscane, quella di cipolla e vino bianco in particolar modo, pappardelle oppure i pici con sugo di cinghiale, i ravioli di ricotta e spinaci con ragù, le crespelle di grano saraceno al castelmagno con salsa matta al radicchio rosso. Nei secondi propongono un’ampia scelta di carni alla griglia, l’anatra all’arancia, la faraona al forno ma il protagonista richiesto è proprio lui: il “Peposo alla fornacina”. Io ho scelto il simbolico ed intramontabile Crostino Toscano, che si presenta con un patè “casereccio” armonico non troppo forte con buon retrogusto, veramente gustoso sul suo pane toscano senza sale. A seguire tra i secondi il rinomato “Peposo” una tradizione culinaria che si perpetua da secoli e di cui la famiglia Baudone va orgogliosa. Andrea mi confida che oggigiorno, per accontentare un po’ tutti i palati, volutamente in cucina hanno adottato la politica di alleggerire questa ricetta classica rendendola più delicata, con un utilizzo più equilibrato di aglio e pepe in quanto non tutti i clienti potrebbero gradire la robustezza del piatto! Vi confesso che quando lo preparo a casa mia, lascio immersi i pezzi della carne nella marinatura per ben 12 ore con un buon vino strutturato e in cottura utilizzo il tegame di ghisa, l’aggiunta di un giusto dosaggio di aromi, e via parte una lenta cottura che porta al naso gradevoli e sorprendenti profumi che sul finale risulteranno complessi ed intensi! PEPOSO ALLA FORNACINA Qui all’Impruneta la ricetta trova le sue origini nel 1400, quando rappresentava il pasto degli artigiani e degli operai che lavoravano presso le fornaci del cotto e delle ceramiche, ed approfittavano proprio di tali fornaci per cuocere questo particolare “spezzatino”. Questo consentiva loro di non doversi allontanare, con il rischio di restare poi ad ubriacarsi nelle osterie circostanti! Venivano utilizzate carni di poco pregio, che spesso si presentavano maleodoranti; per ovviare a tale difetto le si copriva con molto vino, e si integravano grandi quantità di aglio e pepe. La lunga cottura a bassa temperatura trasformava le carni dure e le cartilagini in un piatto armonioso, ricco di sapore e nutriente. Dopo pranzo mi accingo a perlustrare il locale per soddisfare la mia naturale curiosità: il pavimento è originale dell’epoca, le stanze

Champagne experience Modena

Champagne Experience Modena Ho partecipato a Modena alle terza edizione di “𝐂𝐡𝐚𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐞 𝐞𝐱𝐩𝐞𝐫𝐢𝐞𝐧𝐜𝐞”, il più importante evento sullo champagne in Italia. var htmlDiv = document.getElementById("rs-plugin-settings-inline-css"); var htmlDivCss=""; if(htmlDiv) { htmlDiv.innerHTML = htmlDiv.innerHTML + htmlDivCss; }else{ var htmlDiv = document.createElement("div"); htmlDiv.innerHTML = "" + htmlDivCss + ""; document.getElementsByTagName("head")[0].appendChild(htmlDiv.childNodes[0]); } var htmlDiv = document.getElementById("rs-plugin-settings-inline-css"); var htmlDivCss=""; if(htmlDiv) { htmlDiv.innerHTML = htmlDiv.innerHTML + htmlDivCss; }else{ var htmlDiv = document.createElement("div"); htmlDiv.innerHTML = "" + htmlDivCss + ""; document.getElementsByTagName("head")[0].appendChild(htmlDiv.childNodes[0]); } setREVStartSize({c: jQuery('#rev_slider_6_1'), gridwidth: [800], gridheight: [800], sliderLayout: 'auto'}); var revapi6, tpj=jQuery; tpj(document).ready(function() { 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var htmlDiv = document.getElementById('rs-plugin-settings-inline-css'); if(htmlDiv) { htmlDiv.innerHTML = htmlDiv.innerHTML + htmlDivCss; } else{ var htmlDiv = document.createElement('div'); htmlDiv.innerHTML = '' + htmlDivCss + ''; document.getElementsByTagName('head')[0].appendChild(htmlDiv.childNodes[0]); } Il 𝐂𝐥𝐮𝐛 𝐄𝐱𝐜𝐞𝐥𝐥𝐞𝐧𝐜𝐞 è l’organizzatore di questa manifestazione, nonché promotore della cultura legata alla distribuzione di 𝐯𝐢𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐧𝐞𝐥 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐩𝐚𝐞𝐬𝐞. In questa edizione hanno aderito ben 125 maison, tutte accumunate dall’elevato livello qualitativo. L’obiettivo principale è diffondere la 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨-𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐠𝐮𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢𝐯𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐚𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐞. Apprezzo la professionalità nelle informazioni ricevute e l’ordine espositivo suddiviso per zone tutte ben documentate. Bollicine e ancora bollicine per capire e distinguere le varie tipologie!

Palazzo Acciaiuoli – Certosa di Firenze

Palazzo Acciaiuoli Certosa di FirenzeHo partecipato alla 𝟏𝟗° 𝐄𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 della manifestazione “𝐕𝐢𝐧𝐨 𝐞̀ 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐞𝐫𝐞”, dedicata alla degustazione di vini d’Italia, organizzata dal mio amico e collaboratore Sig. Andrea Formigli, titolare della ”𝐕𝐢𝐧𝐨𝐭𝐞𝐜𝐚 𝐚𝐥 𝐂𝐡𝐢𝐚𝐧𝐭𝐢”. var htmlDiv = document.getElementById("rs-plugin-settings-inline-css"); var htmlDivCss=""; if(htmlDiv) { htmlDiv.innerHTML = htmlDiv.innerHTML + htmlDivCss; }else{ var htmlDiv = document.createElement("div"); htmlDiv.innerHTML = "" + htmlDivCss + ""; document.getElementsByTagName("head")[0].appendChild(htmlDiv.childNodes[0]); } var htmlDiv = document.getElementById("rs-plugin-settings-inline-css"); var htmlDivCss=""; if(htmlDiv) { htmlDiv.innerHTML = htmlDiv.innerHTML + htmlDivCss; }else{ var htmlDiv = document.createElement("div"); htmlDiv.innerHTML = "" + htmlDivCss + ""; document.getElementsByTagName("head")[0].appendChild(htmlDiv.childNodes[0]); } setREVStartSize({c: jQuery('#rev_slider_5_2'), gridwidth: [800], gridheight: [800], sliderLayout: 'auto'}); var revapi5, tpj=jQuery; tpj(document).ready(function() { if(tpj("#rev_slider_5_2").revolution == undefined){ revslider_showDoubleJqueryError("#rev_slider_5_2"); }else{ revapi5 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Entrando nella sala principale si trova l’esposizione di vini, suddivisa per regioni d’Italia, è senza dubbio una selezione molto accurata di etichette regionali, e giustamente si è voluto dar maggior rilievo alle numerose 𝙘𝙖𝙣𝙩𝙞𝙣𝙚 𝙩𝙤𝙨𝙘𝙖𝙣𝙚. Ho preso visione che questa mostra è stata combinata per offrire al pubblico di estimantori un’ampia e completa scelta di vini unendo ai nomi di cantine rinomate e conosciute quelli di produttori ed aziende vinicole di nicchia i cui vini risultano equilibrati ed ottengono in fase di degustazione ottimi punteggi. Si riconferma la corrente di pensiero nel dare adeguato spazio a realtà biologiche ed ecostenibili nel rispetto della natura. Partecipazione e costante flusso di “wine lovers” che con interesse hanno degustato ed apprezzato. Ringrazio 𝐀𝐧𝐝𝐫𝐞𝐚 𝐅𝐨𝐫𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢 per l’invito e per avermi offerto l’occasione di vivere con emozione questo approfondimento sui vini nella cornice fiorentina di Certosa.

Acetaia Sereni: il gusto autentico del balsamico

ACETO BALSAMICO, "L'ORO NERO" TRAMA TENACE CHE DA SEMPRE UNISCE L’UOMO ALLA STORIA E LEGA UNA GENERAZIONE ALL’ALTRA NELL’AMBITO DI UNA MEDESIMA FAMIGLIA. Prolungo il mio percorso sulle colline modenesi per descrivere un’eccellenza di queste terra che ne vanta la tradizione e la storia: l’aceto balsamico e la sua straordinaria alchimia con il tempo! La mia visuale si perde tra il verde ordinato di colture vinicole e di oliveti, zona incontaminata lontana dall’inquinamento industriale. Qui il perpetuo susseguirsi di accadimenti atmosferici non ha alterato quello che si può definire l’antico corso che la natura garantisce, a supporto della produzione e maturazione di uno straordinario Aceto Balsamico. Qui si trova la proprietà della Famiglia Sereni, con la sua produzione di balsamico. I loro vigneti di Trebbiano Modenese, Trebbiano di Spagna e Lambrusco Grasparossa, sono adibiti esclusivamente per la produzione dell’aceto balsamico. La zona interessata è quella compresa tra Vignola e le colline di Villabianca (Marano sul Panaro), già ad un’altitudine di 350 slm, con un sistema di allevamento a spalliera, cordone speronato; la raccolta manuale avviene solitamente nel mese di Settembre. STORIA: TRADIZIONI E CONSUETUDINILa consuetudine è stata ed è tuttora quella di regalare una botticella o una batteria di botti in occasione di importanti eventi familiari, come la nascita di un figlio o un matrimonio, imprimendo nel fondo della botte il nome della persona cui è dedicata; era il modo di lasciare un segno importante. Questo gesto di grande significato non è un semplice dono, ma uno strumento di legame con la famiglia o con la persona cara, e l’elisir che ne uscirà sarà gelosamente e amorevolmente custodito dal sapiente proprietario. Il “Balsamico” si può definire un testimone vivente della vita di queste zone, sempre presente a qualsiasi avvenimento domestico. Un vero e proprio albero genealogico che comprova con la sua lunga e concreta esistenza un percorso di vita che non si interrompe con la morte, ma si ripete negli anni in un’operosa eredità che non conosce ostacoli. Un’esemplare testimonianza è quella di “Nonna Santina”, che fin dai primi del ‘900 diede inizio ad una piccola produzione di balsamico nella vecchia acetaia della famiglia Sereni, attenendosi scrupolosamente alla più antica tradizione e passando poi ai suoi eredi un lascito morale e concreto, oltre ad un legame profondo. Successivamente quella dell’aceto balsamico diventa una passione per il figlio Attilio, che prosegue con l’acquisto di diverse batterie di botti sempre per utilizzo familiare e regalistica. Nei primi anni ’80 Pier Luigi, figlio di Attilio, ha ben pensato di trasformare la passione in un’attività vera e propria, riscontrando una sempre più forte richiesta commerciale, e si è tenuto al passo con i tempi investendo da una parte e facendosi portavoce dall’altra di questo patrimonio: di fondamentale importanza per il successo del Balsamico è stato infatti il divulgare e far conoscere questa cultura antica e preziosa, vero orgoglio della tradizione modenese. LAVORAZIONE DELL'ACETO BALSAMICO METODI DI PRODUZIONE VENGONO TRAMANDATI DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE Una volta raccolta l’uva, viene pigiata con una pressa soffice per ottenere il succo, che viene tenuto separato dalle vinacce. Il succo viene portato fresco in sala cottura, dove viene cotto per diverse ore a fuoco diretto, procedura che si definisce a “vaso aperto”. La temperatura di cottura può andare dai 60° ai 100° C. Una volta ottenuto il mosto cotto, materia prima per produrre Aceto Balsamico, il prodotto può prendere due strade: la miscela con l’aceto di vino e l’affinamento in botti di grandi dimensioni, per la produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, oppure l’utilizzo tale e quale, con la fermentazione e l’invecchiamento in batterie di botticelle di legni pregiati, poste in ordine decrescente di capacità, per la produzione di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP. TEMPI DI INVECCHIAMENTOPer l’IGP il minimo d’invecchiamento in legno è di 2 mesi per quello standard e di almeno 3 anni per l’Aceto Balsamico di Modena IGP “invecchiato”. Per il DOP invece il minimo di invecchiamento è di 12 anni e di almeno 25 anni per l’EXTRAVECCHIO. LA BOTTE PIÙ VECCHIA ATTUALMENTE IN USO ERA DI SANTINA E RISALE AL 1930!Continua la visita guidata che il Sig. Pier Luigi mi ha riservato e di cui mi sento molto onorata: passiamo dalla “zona di cottura”, primo passaggio indispensabile per ottenere il mosto, al piano superiore e qui appena arrivo percepisco il vissuto; si respira la storia della famiglia Sereni che ha sapientemente costruito e sistemato queste batterie di botti. Posso confermare che ci s’immerge nel mondo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop, in questo ambiente si contano 1.800 botticelle in legni pregiati quali: rovere, gelso, ginepro, frassino, castagno, robinia, ciliegio, fatte costruire dall’artista Renzi, noto artigiano Modenese. E già da qui inizia l’esperienza olfattiva degli aromi e profumi che provengono dal legno di questi barili. L’Aceto Balsamico nasce per naturale ossidazione dell’alcol sviluppatosi nel mosto dalle spontanee fermentazioni successive alla cottura. La sua conservazione non ha bisogno di particolari attenzioni come quelle riservate al vino. Nei primi anni della sua evoluzione all’interno delle botti viene plasmato dal suo carattere, per concentrarsi successivamente: sono le fibre del legno stesso che contribuiscono a rilasciare i tannini più “nobili”. “Recenti studi suggeriscono di sigillare la chiusura delle botti nella fase dell’invecchiamento per non disperdere preziosi profumi ed aromi, in quanto sarebbero proprio le fibre del legno ad agevolare sia l’ossigenazione che l’evaporazione del contenuto agendo per osmosi. Però devo dire che il Sig. Pier Luigi Sereni rimane legato alla Tradizione, e non concorda pienamente su questo suggerimento”. Variazioni di temperatura e contatto diretto con l’aria sono da favorire con la disposizione del Balsamico in botti “aperte” e dislocate nei sottotetti. Quando il barile è nuovo, prima di accogliere il mosto destinato a divenire balsamico viene lasciato a “spurgare” per almeno un anno con aceto forte, che poi viene eliminato perché troppo carico di tannini. COS’E’ IL “COCCHIUME”?Il foro di riempimento praticato sul diametro massimo della botte, con annesso il suo tappo conico di chiusura: insieme vengono definiti “cocchiume”. Nella botte dove viene prodotto Aceto Balsamico Tradizionale DOP l’apertura

ristrutturazione edilizia nelle residenze storiche

Articolo pubblicato su: Immobili&co RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA NELLE RESIDENZE STORICHEL’intervento del “Wine designer” nell’affrontare una ristrutturazione in cantine vetuste, tra vincoli architettonici e problemi strutturali.In questo articolo, sviluppato come sempre in collaborazione con “Cantine Fatte ad Arte” e Laura Frattini Sommelier “Wine Consulting & Executive Director”, parleranno di come bisogna approcciarsi quando si vuole ricavare uno spazio idoneo per il vino in un’abitazione già esistente e datata, sia che si tratti di un’antica dimora con al suo interno dei vincoli architettonici da rispettare, sia nei casi di ville o costruzioni in generale vetuste. Obiettivamente tali interventi fin dal primo approccio risultano più articolati, e il lavoro dell’architetto, assieme al Wine Designer, risulterà più limitato ma non per questo meno incisivo. Lo svolgimento dei lavori edili sarà inevitabilmente più delicato e bisognoso di attenzioni prima, durante e dopo la realizzazione. La procedura iniziale richiede l’analisi degli impianti tecnologici (elettrico, termoidraulico e di climatizzazione); l’esperienza conferma che, nella maggior parte dei casi esaminati, sono necessari interventi importanti per rimetterli a norma ed in sicurezza secondo le leggi attuali. È certo che tale tipo di ristrutturazione si presenta decisamente complicata ed articolata: il progettista si trova a dover intervenire su di un costruito già esistente e dovrà mettere in pratica tutte le sue conoscenze tecniche e applicarle con accuratezza e parsimonia, per quantificare esattamente quello che c’è da togliere e quello che invece si riesce a conservare. Ogni intervento è a sé; caso per caso occorre un progetto mirato e personalizzato; orientativamente si può riassumere, per rendere meglio l’idea, quale sia il primo passaggio importante come intervento strutturale. “Quello che si può togliere dalle murature esistenti che verranno inevitabilmente abbattute e al tempo stesso capire quello che invece si riesce a conservare, recuperando tutto quello che c’è di buono, riuscendo a ripristinare un’estetica dell’epoca. Tale intervento è basilare per poter sfruttare spazi e metri quadri utili al progetto, per trovare il giusto collocamento della bottiglieria ottimizzando al massimo alcuni spazi e/o lasciarne altri inutilizzati.” L’interazione tra il wine designer ed il committente è fondamentale Il secondo passaggio consiste nel portare a conoscenza del committente quali siano gli spazi che si riesce a riutilizzare dopo aver sviluppato l’analisi: e in risposta lui esporrà le sue idee, i suoi desideri ed ambizioni su come vorrebbe vedere realizzata la sua cantina per la conservazione delle bottiglie. Questa interazione consente di intervenire ed arredare consapevolmente un ambiente nel migliore modo possibile. A differenza delle costruzioni nuove, nelle quali si riesce sempre a garantire la conservazione delle bottiglie con un corretto equilibrio delle variabili termo-igrometriche e di illuminazione artificiale-naturale, nelle ristrutturazioni tali variabili sono soggette a scelte delicate ed è necessaria una maggiore attenzione, e qui riportiamo un esempio preso da “Cantine fatte ad arte”: “Gli interventi di mascheramento e di protezione dell’impatto della luce solare diretta non vanno trascurati perché porterebbe ad una nefasta modifica dei valori testé citati a scapito della buona conservazione del vino in bottiglia”. L'ESPOSIZIONEBisogna tenere in considerazione l’esposizione della bottiglieria, per non cadere nell’errore di collocare la collezione di vini in un vano assoggettato a ripetuti cicli di forte insolazione (azione diretta della luce solare), sbalzi termici stagionali (caldo-freddo), sequenze acustiche-vibrazionali provenienti dall’esterno e non per ultimo le fasi di inquinamento luminoso artificiale. Tutti questi fattori provocherebbero effetti indesiderati sulla conservazione del vino in bottiglia, soprattutto se in vetro chiaro. Si consiglia sempre di ubicare la costruzione enotecnica rivolta verso nord o al più a nord-est rispetto all’edificio: il locale deve risultare asciutto, ed è fondamentale intervenire sugli ambienti vetusti con gravi formazione di umidità, fare i necessari trattamenti per riportare l’ambiente ad una temperatura costante che non superi mai i 12 C°. Nelle residenze soggette a vincoli architettonici abbiamo maggiori limiti: al piano interrato o piano campagna si trovano frequentemente nel soffitto delle volte che non possono essere demolite: ma intervenendo con una buona azione di stuccatura, o rifinitura con mattoncini/pietra o verniciatura si riesce a riportarne in auge tutta l’originaria bellezza. Nelle pareti si possono trovare degli affreschi che non permettono l’arredo di quello spazio e dunque non sarebbe possibile anche volendo inserire una bottiglieria aperta, bisogna riutilizzare materiali di recupero e non nuovi materiali edili per pavimenti, colonne portanti e finiture. Se l’ambiente non ha vincoli si avrà una maggior libertà di demolizione e si otterrà una ristrutturazione più funzionale, inserendo con maggior facilità gli impianti tecnologici con un maggior spazio di manovra. Ogni cantina da ristrutturare presenta i suoi specifici vantaggi e svantaggi, ma questo non impedisce di trovare un equo compromesso, e anche nei casi limite si è riusciti a trovare degli “escamotages” progettuali per armonizzare il fascino dell’antico con un tocco di modernità. Nel prossimo intervento illustreremo altri elementi utili da tenere bene in considerazione per conservare al meglio i vini acquistati, ma anche soluzioni di interior wine design che trasformano un ambiente anonimo in uno spazio molto esclusivo e particolare. Cantine fatte ad Arte® - Arch. Edoardo Venturini viale Stazione, 134 - 35036 Montegrotto Terme (PD) email: info@cantinefatteadarte.it Ti è piaciuto l’articolo? Puoi iscriverti al servizio di notifica o lasciare un commento!

TERRAQUILIA

TERRAQUILIA Metodo Ancestrale da Vigne in Alta QuotaOggi sono venuta a visitare una Cantina che si distingue per l’unicità di posizione e vini. Situata in Emilia, vicino al piccolo e grazioso comune di Guiglia, sulle colline di Modena, a 500 mt sul livello del mare, la cantina di TerraQuilia con le sue vigne si conferma più in Alta Quota della provincia. Il paesaggio alterna importanti zone boschive ricche di bio-diversità a spettacolari solchi nel terreno noti come “calanchi” che si formano per dilavamento delle acque su rocce argillose. Guiglia, a confine tra colline e montagne, è ubicata all’interno del Parco Regionale dei Sassi di Rocca Malatina nel cui centro svettano le guglie arenacee dei “Sassi”. Tutti i poderi della cantina di TerraQuilia sono posizionati tra i 400 m e i 500 m di altitudine nel comune di Guiglia. PODERE CONCA D’OROVigneti con ESPOSIZIONE A SUD. Il suolo è composto da argilla, sabbia e limo. Questo è il vigneto sperimentale, il primo impianto dove vengono coltivate quasi tutte le varietà: Lambrusco Grasparossa, Malbo Gentile, Sangiovese, Pignoletto, Trebbiano, Moscato, Malvasia aromatica di Candia e Traminer. PODERE FRATELLI BANDIERAVigneti con ESPOSIZIONE A SUD-OVEST. Il suolo è composto da argilla e limo. Qui si coltivano le uve a bacca rossa: Lambrusco Grasparossa e Malbo Gentile. Oggi sono in visita nel PODERE La Riva: questi vigneti hanno una ESPOSIZIONE A NORD, sempre soleggiati. Il suolo è composto da argilla nera e rocce. Qui sono coltivati prevalentemente Sangiovese e uve a bacca bianca: Pignoletto, Trebbiano, Moscato, Malvasia e Verdicchio di Guiglia (autoctono). Qui la famiglia Mattioli ha appena finito di costruire una nuova cantina, più grande rispetto alla precedente e con attrezzature all’avanguardia, per consentire una maggior cura ed ottimizzazione in tutte le fasi di produzione del vino. Cosa significa coltivare in Alta Quota?È importante evidenziare come già nell’antichità l’Italia era la culla della viticoltura di montagna; Romani ed Etruschi definivano la viticoltura sui pendii più nobile e superiore. Per comodità col passare del tempo si cominciò a spostare le coltivazioni in pianura dove la produttività era maggiore, ma ne risentiva la qualità che risultava inferiore. La famiglia Mattioli ha deciso di rimanere fedele alla storia del comune di Guiglia (da cui deriva anche il nome “Terra-Aquilia”), antico insediamento romano e per questo dedito alla viticoltura, e di coltivare solo sui pendii circonstanti sfruttando tutti i benefici dati dall’Alta Quota. Romano Mattioli è il produttore che l’ha voluta e pensata, per coloro che amano ed apprezzano il vino come espressione di una filosofia produttiva che ha radici antiche. Salendo in quota rispetto al livello del mare, si ottiene un grande vantaggio dato dall'abbassamento delle temperature e da una maggiore escursione termica fra giorno e notte: si ritarda la maturazione. Questo comporta che il titolo zuccherino sia inferiore e aumenti invece l’acidità e la sapidità; inoltre la finezza aromatica e la qualità sono superiori. È importante capire che la viticoltura di montagna non svolge solo un ruolo produttivo, ma anche di tipo ambientale. Questo perchè, trovandoci in zone esposte alle brezze notturne, esse sono meno umide e quindi non si formano funghi dannosi per la salute della pianta. Di conseguenza, sono necessari molti meno trattamenti e quindi si rientra a pieno nella coltivazione a regime biologico. La viticoltura in questi territori è fondamentale per la salvaguardia dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-culturale delle zone interessate. Qui si punta al recupero di aree un tempo abbandonate e i vini di montagna nati da uve coltivate in ambienti incontaminati presentano altissimi standard di qualità e genuinità. Aspetto climaticoGli inverni sono rigidi (anche con diversi episodi di nevicate), le temperature vanno sotto lo zero e questo consente alle vigne di arrestare la propria attività e di irrobustirsi. La primavera è temperata e piovosa nella media. Le estati sono calde ma non torride, rinfrescate dalle brezze provenienti dal Monte Cimone. L’autunno è mite, lungo e secco. Si può affermare che la raccolta delle uve avviene con un buon equilibrio fra acidità e maturazione fenolica. ViticolturaAllevamento a Guyot con 3400 ceppi per ettaro e una resa di 70/75 qli. Potatura a tralcio rinnovato unilaterale. Non si utilizzano diserbanti e dissecanti, si rispetta in piena regola il regime biologico, nemmeno trattamenti con prodotti chimici di sintesi entrano nel ciclo vitale della pianta. Vendemmia rigorosamente a mano in cassette di massimo 18 kg. LE FASI LUNARI IN CANTINA Durante la visita in cantina, il responsabile commerciale Sig. Francesco Tedeschini mi spiega che in fase di costruzione hanno tenuto in considerazione l’illuminazione naturale, quella proveniente dall’esterno per rispettare le fasi lunari; infatti con una accurata collocazione in alto nella cantina, vediamo due finestre dalla forma particolare; una rappresenta il sole da un lato, e dall’altra parte si trovano due mezze lune (crescente e decrescente), ritenute un elemento ancora oggi molto importante per la fase di imbottigliamento del vino. “Le tradizioni contadine di questo territorio associano l’imbottigliamento del vino a periodi specifici del calendario lunare durante i quali sarebbe consigliato effettuare questa importante operazione oltre a quella dei travasi e della sboccatura…” Cosa si intende per metodo “Ancestrale”.Il metodo Ancestrale è il precursore del metodo Champenoise; il modo più antico con il quale sia possibile ottenere vini con bollicine fini ed eleganti. Il nome “Ancestrale” è un nome che richiama antiche origini ed il suo legame con una tradizione tramandata di generazione in generazione; un tempo non essendoci tecnologie adeguate era la natura a dettare i ritmi ed i tempi di produzione del vino. In passato si vendemmiava ad autunno inoltrato, le fermentazioni si sviluppavano prima dell’inverno ma, a causa del clima rigido che arrivava presto e che durava parecchi mesi, i lieviti autoctoni si arrestavano non riuscendo a svolgere completamente lo zucchero. Questo piccolo residuo zuccherino era tale per cui, con il “risveglio” dei lieviti dovuto all’innalzarsi delle temperature la primavera successiva, si verificava una nuova fermentazione naturale all’interno della bottiglia. Tutto in MANIERA SPONTANEA. La cantina TerraQuilia ha come obiettivo di reinterpretare in modo fedele, veritiero ed integrale questo metodo ancestrale, vinificando senza l’aggiunta di