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Tenuta Venissa, il sogno dorato della famiglia Bisol: a Venezia rinasce la Dorona.

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La laguna di Venezia, magica e suggestiva, è lo sfondo di una storia straordinaria. Quella della famiglia Bisol e della Dorona, un vitigno quasi scomparso e rinato in un ambiente ostile da cui trae la forza per generare vini di grande personalità

Se chiedessi al migliore degli sceneggiatori di scrivere una storia basata su tre soli ingredienti, il vino, il coraggio e Venezia, beh sono certa che scriverebbe la storia di Venissa e della sua Dorona. Le vicende di questa Cantina, infatti, sembrano il frutto di un intreccio studiato ad arte proprio intorno a quei tre elementi: il mondo dell’enologia, la determinazione di chi, ostinato, decide di scommettere su un progetto apparentemente irrealizzabile, e il fascino di un’avventura imprenditoriale che nasce a Venezia, magnifica e rischiosa come ogni centimetro quadrato della terra su cui sorge.
Con queste premesse e tanta curiosità, una domenica mattina di fine settembre ho deciso di prendere il traghetto che da Fondamente Nove attraversa la parte settentrionale della laguna verso le isole. Il sole era appena accennato e più il traghetto si allontanava e la nebbia saliva, più lo scenario magico che solo questi luoghi sanno creare lasciava intravedere San Michele e il suo straordinario cimitero, le fornaci del vetro di Murano e poi tanto mare. Quando il borbottio del vaporetto ha iniziato a scemare, l’isola verso cui ero diretta è comparsa.

Siamo a Mazzorbo, tra Burano e Torcello, dove la trama disegnata da canali, isole, scogli e approdi crea un mosaico a cui verrebbe voglia di dar forma ricongiungendo ogni tessera. Dal 2001, proprio su quest’isola, è rinato un sogno: quello della famiglia Bisol, produttrice di vini da 500 anni e 21 generazioni, che ha voluto accettare la sfida di riportare in vita un vino, e un vigneto, destinati all’oblio. Su un lembo di terra della Venezia Nativa, sorgono oggi i vigneti di Tenuta Venissa, circa un ettaro di terra all’interno di una proprietà un tempo appartenuta a un ordine monastico, le cui uniche tracce, scomparsa la chiesa che dominava l’insediamento, rimangono il campanile e il muro di cinta.

Una vite rinata da se stessa

A raccontarmi la storia di Venissa è Matteo Turato, che mi guida anche nella visita lungo l’intera tenuta. A Venezia la vite è di casa da secoli, e fino al XII secolo se ne potevano trovare piante anche in piazza San Marco. Grande merito per l’avvio e la diffusione delle coltivazioni agricole va attribuito agli ordini religiosi, che da sempre tra le proprie attività hanno previsto il lavoro della terra, e le viti non facevano eccezione. Nell’Ottocento, all’interno delle dinamiche innescate dalle conquiste straniere e dalla diffusione del pensiero laico e illuminista, molti ordini furono soppressi, e i loro possedimenti espropriati. A questo, nel corso del secolo, si aggiunse il massiccio spopolamento delle zone rurali, favorito dai processi di urbanizzazione e industrializzazione. Risultato fu il pressoché totale abbandono di molte attività agricole. In particolare pochi furono coloro che decisero di proseguire l’allevamento delle viti in laguna: almeno fino al 1966, anno di una delle peggiori inondazioni mai subite da Venezia e dalle sue isole, i cui terreni rimasero sommersi per dieci giorni. Anche l’ultimo spiraglio di luce per i vigneti si era spento.

A riaccenderlo ci ha però pensato Gianluca Bisol, venuto fortuitamente in contatto con qualche pianta di vite sopravvissuta a Torcello grazie alla maggiore altitudine (3 metri in più) del suolo rispetto al mare, e quindi ai minori danni causati dall’acqua alta. Durante una visita sull’isola di Torcello il suo occhio esperto riconobbe una pianta insolita, rara, mai vista altrove. Ricerche e analisi portarono a capire che si trattava della Dorona, vitigno autoctono praticamente scomparso, ma di cui col tempo fu possibile recuperare diverse decine di piante, anche grazie all’aiuto di un coltivatore locale, il signor Gastone, che ne aveva serbate ben 88. Reinserita attraverso lunghi passaggi burocratici tra i vitigni “autorizzati” e contro l’opinione di diversi agronomi che ne decretavano l’impossibilità di sopravvivenza, la Dorona, unico vitigno autoctono del territorio, rinasceva grazie alla famiglia Bisol.

I vini della Dorona

Il vigneto è stato ripiantato tra 2006 e 2007. La forza e la peculiarità della Dorona risiedono proprio nella grande capacità di adattamento a un terreno e un clima ostili: acque iodate, quindi salate, e umidità tutto l’anno farebbero infatti sopperire ogni altra pianta, ma non lei, che con fatica ancora oggi dona i propri frutti e permette di produrre vini di grande personalità.

Per il Venissa la vendemmia manuale avviene nella seconda metà di settembre. Il trasporto dell’uva trae beneficio dall’uso del ghiaccio secco (azoto a -20°C) per preservare l’integrità e le caratteristiche organolettiche dei grappoli nella fase di movimentazione in barca dalla tenuta alla terraferma, e da lì alla cantina, nella zona dei Colli Euganei. Il mosto fermenta con macerazione sulle bucce di almeno 30 giorni in acciaio, a una temperatura controllata di 16-17°C. La macerazione sulle bucce si pratica per mantenere la tradizione veneziana: a Venezia infatti non era possibile avere cantine sotterranee e fresche temperature a causa dell’acqua alta. Era quindi indispensabile macerare la Dorona per strutturarla grazie alle sostanze antiossidanti presenti nella buccia e nei semi. Infine il vino affina 48 mesi in botti di cemento con interno in fibra di vetro e 12 mesi in bottiglia. La produzione annua è di circa 3000 bottiglie.

L’altro bianco della Casa è il Venusa, nato nel 2018, che affronta una macerazione più breve, tra i 3 e i 7 giorni. La differenza tra Venissa e Venusa sta in pochi centimetri, quelli che costituiscono il dislivello presente all’interno dell’appezzamento, un paio di palmi che si riflettono in una marcata differenza in termini di acqua e iodio presenti nel terreno. Ecco perché le uve del Venissa sono uve concentratissime, grazie alle radici “immerse” nell’acqua della laguna.
Per completare il panorama, la tenuta produce anche un Rosso Venissa, dall’appezzamento sull’isola di Santa Cristina (circa 3 ettari). I vitigni sono Merlot (82%) e Cabernet Sauvignon (18%). Macerazione di 24 giorni e affinamento di 12 mesi in barriques di rovere francese.

Un cenno di rilievo merita anche l’attenzione alla sostenibilità che qui si pratica. Se il vigneto a Mazzorbo occupa 0,8 ettari, all’interno del clos circa la metà della superficie è occupata da prati, aree incolte, orti, frutteti, che con le fioriture attirano fauna come le api, o parassiti che a loro volta sono esca per i propri uccelli predatori. È così che la natura di questo piccolo ecosistema, inserito nel più grande ambiente lagunare, trova un proprio ciclo, i propri equilibri, permettendo un approccio quasi olistico, in cui l’intervento umano è ridotto al minimo, senza trattamenti con ausili chimici.

Il progetto Venissa

Venissa, oggi, è un forte richiamo eno-turistico, cresciuto attorno ai filari della Dorona. Oltre alla Cantina, offre infatti la possibilità di soggiorno nel Wine Resort interno alla tenuta, alcuni appartamenti a Burano, e poi l’Osteria Contemporanea e il ristorante stellato Venissa, entrambi sotto la preziosa guida degli chef Chiara Pavan e Francesco Brutto.

L’Osteria, che ho avuto modo di apprezzare grazie a una degustazione, è un ambiente moderno, con arredi “minimal”, e comunica essenzialità esaltando al tempo stesso il legame con l’ambiente e il territorio. La cucina si basa sulle materie prime che offrono gli orti e la laguna, tradotti in piatti armoniosi e squisiti. Anche il servizio è rimarchevole, con una squadra di cuochi, camerieri e sommelier preparati e attenti, in grado di fornire precise e utili informazioni sui vini scelti in abbinamento.

La degustazione

Venissa Bianco 2016 “Simbiosi” (13%)
La capacità della Dorona di adattarsi alla laguna ha creato una simbiosi perfetta tra vitigno e terroir, che si esprime con eleganza, freschezza e grande personalità.
Di colore dorato, brillante, mi regala al naso intensità e complessità con una generosità aromatica importante. In primis esibisce aromi di frutta gialla, camomilla e cenni di scorza di agrume essiccato, sentori di pera, albicocca, susina, mandorla e spezie, arricchiti da evidenti note iodate. L’alchimia di assaporarlo circondata da questo ambiente lagunare unico esalta ogni aspetto. Proseguo la valutazione di Venissa al sorso mentre Matteo mi racconta altri aneddoti e notizie sul vino e la gestione della tenuta. Avverto subito la grande struttura del vino, in cui trovano uniformità ben bilanciata la pienezza, la freschezza e la mineralità, con una texture vellutata che dona un completamento armonioso. Al livello gusto-olfattivo regala note di miele, noce e liquirizia, e il finale è secco, di lunga ed emozionante persistenza. Venissa è un grande bianco da collezione, da meditazione, con la caratteristica di avere un’eccellente longevità.

Venusa Bianco 2018
Il Venusa rappresenta un’altra versione di bianco rispetto al Venissa. Vitigno Dorona in purezza, nasce dalla vendemmia del 2018 e da una diversa selezione delle uve. Il suo colore è di un bel giallo paglierino carico e la buona aromaticità si direziona su profumi floreali più lievi, quali fiori di campo, margherite, e fruttati di pesca, mela cotogna, ananas. Buona la sapidità che si distingue per la piacevolezza al palato.

Di struttura media rispetto al Venissa, è un bianco che ho gradito molto a tavola perché ha saputo accompagnare sapientemente i piatti della degustazione senza sovrastarli: l’ho infatti abbinato a uovo fondente, topinambur e cicoria, e poi con sarde croccanti in sapor di lampone, prima di una lasagna di funghi e ricotta affumicata. È senza dubbio un vino che non scende a compromessi in carattere e rarità, ma veramente armonico ed equilibrato.

Vini così, di pregio e di struttura, devono anche avere un “vestito” adeguato, in grado di valorizzarli e, se possibile, esaltarne ancor di più ogni nuance. Ecco perché l’incanto di ogni bottiglia Venissa inizia con la sua etichetta, una sottilissima foglia d’oro battuta a mano dall’ultimo battiloro di Venezia, discendente dell’antica famiglia dei Berta Battiloro. La foglia viene applicata sulla bottiglia dagli incisori muranesi Albertini e Spezzamonte, che la forgiano secondo il design riconoscitivo dell’annata. Le bottiglie vengono poi ricotte nei forni delle vetrerie di Murano e numerate a mano. Un vero tocco di classe e di raffinatezza estetica.

Lascio Tenuta Venissa con ancora negli occhi e nell’animo gratitudine e stupore. La storia della Dorona e della famiglia Bisol che l’ha riportata in vita è una di quelle che non si fanno dimenticare, un desiderio divenuto realtà grazie a determinazione, passione e lavoro. E sono certa che potrà essere d’ispirazione per molti: chi si spende ogni giorno per produrre il proprio vino, chi affronta ostacoli e difficoltà per trovare la propria strada, e chi non vuole rinunciare ai propri sogni, anche quando sembrano impossibili.

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