Vigne Chigi, il Pallagrello nero e le sue vigne borboniche.
A Pontelatone: la tipicità delle uve autoctone e il forte legame con il territorio casertano.
Oggi vi parlerò di uno tra i più importanti vitigni autoctoni campani, il Pallagrello: introdotto dai colonizzatori greci, può essere sia a bacca bianca che a bacca nera. Il Pallagrello come regolamentazione rientra nella Igt Terre del Volturno: il vitigno nei primi del novecento era scomparso, e solo recentemente, per la precisione nell’ultimo ventennio (la sua registrazione ufficiale è del 2004) è stato evidenziato ed apprezzato il suo valore qualitativo conferendo una nuova spinta alla realtà enoica della Campania.
La superficie dedicata alla coltura di questi vigneti oggi è di 170 ha a livello nazionale, concentrati soprattutto nella parte nord-est di Caserta, nei comuni di Alife, Alvignano, Caiazzo e Castel Campagnano.
Qual'è l’origine di questo nome : Pallagrello – “U Pallarel”?
La risposta sta proprio nella forma dell’acino, che appare come una sfera perfetta da qui “piccola palla”; anche i grappoli sono compatti e piccoli.
Una ulteriore interpretazione sull’origine del nome lo fa derivare dal pagliarello, che non è altro che il graticcio di paglia dove l’uva veniva sistemata per la fase dell’appassimento.
La storia di Vigne Chigi e il suo legame con il territorio circostante
L’azienda è stata fondata nel 2004, con l’obiettivo di tutelare e valorizzare le proprietà terriere dell’Avv. Giuseppe Chillemi e della moglie Laura Gianfrotta, discendente da un’antica famiglia patrizia di Capua.
Il re Carlo di Borbone (poi Carlo III di Spagna) conferì alla famiglia Gianfrotta la patente di nobiltà nel 1751, unendola alle altre 13 case nobiliari capuane.
Perché ha deciso, Sig. Chillemi, di realizzare il suo progetto e come ha gestito i vigneti inizialmente?
I vigneti di famiglia sono situati alle pendici delle colline dell’area trebulana nel comune di Pontelatone ai piedi del Monte Friento in provincia di Caserta, zona che da secoli è rinomata per essere fortemente vocata alla viticoltura: i terreni sono argillosi con notevole presenza esotici carbonatici, siamo a 120 metri s.l.m., con una buona ventilazione ed esposizione al sole.
“I proprietari hanno deciso di lasciare per molti anni questi terreni alla sola coltivazione, per prepararli al meglio: successivamente, dopo un’attenta valutazione con il supporto di un enologo esperto è nata Vigne Chigi, con l’intento di trasformare le proprie uve in vini unici “Vini da re”, in grado di esprimere la tipicità organolettiche del territorio dove la storia ha improntato il suo mito “regale”.
La famiglia Chillemi si è prefissata lo scopo di mantenere vive le antiche tradizioni e riscoprire un forte e saldo legame con il passato tramite la coltivazione di vitigni autoctoni quali il Casavecchia (ultima DOP nata in Campania) ed il Pallagrello, sia nero che bianco Igt. Da quest’ultimo autoctono si ottiene anche un ottimo rosé, caratterizzato da una soffice pressatura ed un breve contatto con le bucce.
Oltre a preservare gli antichi vitigni, per rafforzare la memoria storica e perpetuare l’antico legame con la casa Borbonica il Sig. Chillemi ha deciso di riprodurre sulle proprie etichette i cani da caccia raffigurati nei dipinti esposti presso la Reggia di Caserta, curando ogni minimo particolare. La storia conferma che la passione per la caccia dei Borbone delle due Sicilie li ha spinti ad allevare a corte cani di ogni razza, provenienti da tutto il regno e dai maggiori paesi europei.
Gli storici raccontano che re Ferdinando IV di Napoli Borbone apprezzò talmente tanto il Pallagrello che ordinò ai suoi giardinieri di aggiungere alcune viti assieme alle altre tipologie nella cosiddetta “Vigna del Ventaglio”; anticamente il sistema di allevamento era a raggiera, mentre oggi si predilige quello a spalliera o guyot.
Durante i pranzi a corte si consumavano fiumi di questo vino, che allora veniva chiamato Piedimonte rosso e Piedimonte bianco, ed era considerato eccelso.
Tra i vini (da vitigni autoctoni) di sua produzione ce n’è uno in particolare a cui è più affezionato?
Il Cretaccio, DOP Casavecchia di Pontelatone, ma non perché è DOP, ma perché è stato il primo, quello con più riconoscimenti.
Il Casavecchia dal 2012 può fregiarsi della denominazione DOP a condizione che abbia fatto almeno due anni di invecchiamento di cui almeno uno in botte. La riserva invece ha tre anni di invecchiamento, di cui almeno due in botte.
Sino al 2017 abbiamo rivendicato la DOP, e dal 2018 abbiamo rivendicato la riserva: la 2018 sarà una bottiglia celebrativa perché è stata la decima vendemmia del Cretaccio.
Ci tengo a sottolineare che dall’annata 2018 in poi il Cretaccio sarà solo nella tipologia riserva.
In questo delicato momento, le attività vinicole sono state fortemente penalizzate: come ha affrontato questo “blocco” e com’è riuscito a gestire la sua attività durante il lockdown ed ora durante la “fase 2”?
"L’impatto iniziale è stato duro, con un forte effetto sulla nostra attività; soprattutto la preoccupazione di bloccare quello che in natura non si può interrompere, al fine di garantire tutta l’intera produzione. Affrontando questo grande problema con tenacia e spirito positivo, nei limiti del possibile siamo riusciti ad eseguire solo gli interventi in vigna, all’aperto, con tutte le precauzioni del caso. Quindi a Gennaio e Febbraio abbiamo eseguito la potatura, e a Marzo la lavorazione del terreno, che è molto importante perché si arieggia la terra riattivando la vita del suolo e favorendo la ricrescita delle radici.
In Aprile abbiamo curato la palificazione per garantire al fogliame una migliore esposizione al sole e guidato i tralci lungo i fili metallici. Ora a Maggio inizieremo a curare il terreno e la vite con altre operazioni mirate di manutenzione.
Abbiamo fatto tutto con la cantina chiusa, ma siamo operativi per effettuare le consegne, e fino a che tutto è fermo, dobbiamo pazientare e convivere con questo blocco lavorativo.
Dal 1 Giugno sto già promuovendo degustazioni in cantina, con maggior tempo trascorso in vigna per un massimo di 6 persone con prenotazione obbligatoria.
La speranza mia e penso di tutte le cantine italiane è che vi sia una veloce riapertura delle attività enogastronomiche, ristoranti e strutture enoturistiche, pur se graduale, perché noi con il nostro lavoro siamo fortemente intersecati e connessi con loro; il timore principale che in questo anno rimangano giacenze ferme in deposito, e questo sarebbe un grave danno, attualmente produciamo 30.000 bottiglie all’anno, ma la nostra crescita è costante.
Sono due gli obiettivi che intendo portare avanti: mantenere attive le spedizioni anche all’estero (siamo già presenti in Australia, Regno Unito e Germania,) e diffondere la cultura, la conoscenza e la storia di questi autoctoni campani anche in altre regioni italiane."
Riprendiamo la conversazione per conoscere più da vicino il Pallagrello nero attraverso un’attenta ed analitica degustazione gusto-olfattiva :
Nel calice, a livello visivo si presenta di un bel rosso rubino, brillante ed abbastanza trasparente: al naso arrivano subito profumi di frutti rossi sotto spirito, percezione di prugna, gelso nero per poi finire con note balsamiche e speziate.
Al palato è abbastanza caldo, avvolgente di buona struttura e corpo, i tannini risultano morbidi e questo lo rende setoso. Ha una buona rispondenza nella persistenza, si riscoprono nuovi profumi di vaniglia e amaranto. Un vino che trova un’ottima corrispondenza in tutti gli elementi cardine di analisi organolettica, rendendolo equilibrato ed armonico.
Un consiglio su quale piatto sia più indicato come abbinamento cibo/vino rimanendo ancorati al territorio e alla cucina tipica? Io trovo ideale un secondo piatto costituito da una tartare di maiale nero casertano.
Ringrazio il Sig. Giuseppe Chillemi per avermi dato la possibilità di degustare i suoi vini, di cui ho molto apprezzato la qualità, oltre alla tipicità del vitigno: lo ringrazio anche per aver rievocato insieme a me un periodo storico importante, che ha lasciato un segno indelebile nella tradizione enologica di questo bel luogo.
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