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Passo del Furlo, patria del Tartufo

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Passo del Furlo, patria del Tartufo

Attraversando la gola del Furlo, affascinante e misteriosa, le montagne circostanti mi avvolgono, dispensando sensazioni di protezione e, allo stesso tempo, inquietudine. Lo stretto passo è la porta di accesso verso la catena appenninica e la zona che, in terra marchigiana, è la patria del tartufo

“Furlo”

Memorie impresse sulla pietra

Il varco, con la galleria, nei secoli ha contribuito a collegare i litorali opposti dello stivale ed è uno di quei luoghi in cui il tempo pare essersi cristallizzato, trattenendo la scia di ogni evento: nelle rocce, nell’acqua che scorre, nelle piante e nel sottobosco l’eco di vicende passate risuonano, per chi le sa cogliere, e alimentano la magia di questo angolo di centro Italia.

Il nome del Furlo proviene da “forulum”, cioè piccolo foro, riferito all’angusta galleria umbro-etrusca che si trova a destra di quella romana fatta costruire successivamente da Vespasiano, e che inaugurò una nuova era nelle costruzioni stradali e nelle comunicazioni tra i due versanti, sia per le persone che per necessità commerciali e militari. A giudicare dalle orme dei carri impresse nella galleria etrusca, che per secoli rimase occultata dai massi, questo divenne un passo molto transitato. Etruschi, Romani, Bizantini e Goti calcarono questa via, divenuta poi di difficile attraversamento per le frane, l’incuria e la presenza di malviventi fino al ripristino ad opera dei Savoia con il nascente Regno d’Italia.

Storia e cultura di questo luogo senza tempo sono legate anche all’estrazione e alla lavorazione della pietra. Numerosi sono i siti di cave abbandonate e i manufatti presenti nel territorio che ancora oggi testimoniano tali attività: statue, cordoli stradali, marciapiedi, e ancora gallerie, acquedotti e muri di sostegno, nati dalle mani esperte di cavatori e scalpellini del luogo.

“Furlo”

Protagonista: il Tartufo Bianco “pregiata tuberacea”

Questa parte della dorsale appenninica è rinomata per una delle tante eccellenze italiane: il tartufo. A voler giocare con le parole, la “gola” del Furlo diventa immediatamente simbolo di quel sottile piacere sensoriale che solo i piatti e i vini della nostra tradizione enogastronomica sono in grado di regalare. E dalla gola mi lascio guidare alla scoperta delle peculiarità del tartufo, bianco e nero, che qui si trova. A pochissimi chilometri sorge Acqualagna, vera capitale del tartufo, che ogni anno per la Fiera autunnale viene letteralmente invasa da moltissimi appassionati, come me pronti ad assaggiare e acquistare il prezioso tubero.

“Furlo”

Il tartufo nasce nella terra, e della terra porta con sé odori e sapori. Appena avvicinato al naso sprigiona un profumo fragrante, inebriante e forte, con sentori di terreno umido e di sottobosco, rilasciando la celebre nota “gassosa”. La sua aromaticità, unica e riconoscibile, al palato regala un gusto immediato ma persistente, penetrante ma delicato. Il periodo nel quale il tartufo bianco pregiato ha la sua massima espressione è l’autunno e i boschi della regione ne offrono una varietà rinomata, solitamente in corrispondenza di pioppi, noccioli, tigli, salici e querce. Il tartufo bianco, che fino a dicembre è nel pieno della maturazione, dai primi dell’anno viene sostituito dal “nero”, detto anche “scorzone”, certamente meno ricco di profumi, ma in grado di esprimere tutta la sua potenzialità se cucinato con sapienza.

Ecco che allora, in tema di sapienza culinaria, mi dirigo a fare visita all’Antico Furlo, ristorante capostipite della tradizione e vera officina del gusto nelle mani dello chef Alberto Melagrana e della moglie Roberta.

“Furlo”

L’Antico Furlo

Il ristorante, e l’annesso hotel, si affacciano sulla gola, a poca distanza da Acqualagna. L’atmosfera è quella di una locanda raffinata, dove tutto trasmette passione e cura, a iniziare dalla conversazione che io e Roberta intratteniamo dopo una prima rapida visita del locale.

L’aperitivo nella “grotta” (splendido scrigno di prelibatezze, di cui dirò tra poco) è un momento di relax, propedeutico a calarmi meglio nell’essenza di questo luogo e delle tradizioni che perpetua dal 1990.

“Furlo”

Genuini sono i valori e i sapori che qui ci si impegna a mantenere e trasmettere, attraverso la scelta quasi maniacale delle materie prime e degli ingredienti, conferma Roberta. In breve Alberto ci raggiunge confidandomi che, per riuscire nell’intento, la sua “arma” preferita, e necessaria, è la creatività, declinata in modo da tenere insieme peculiarità del territorio, memoria della cucina regionale marchigiana e apertura alla ricerca di nuovi accostamenti e sapori.

In attesa di soddisfare i miei sensi con i piatti del menù prescelto, lo chef mi racconta dei suoi inizi, della sua passione nata tra le mura familiari e sviluppata in un crescendo di evoluzioni ed esperienze. Mi colpisce la serietà con cui esercita il suo mestiere, rendendolo unico. La vedo rispecchiarsi nella professionalità di ogni suo collaboratore, in cucina come in sala, dove osservo i camerieri servire piatti meditati ed eleganti. Alberto sottolinea inoltre l’importanza che rivestono per lui il diversificare i menù sulla base della stagionalità dei prodotti e la ricchezza degli ingredienti selezionati, espressione del rispetto per l’ambiente che ci circonda.

Il lavoro sul tartufo, la ricerca negli accostamenti, non terminano mai: l’obiettivo è di riuscire a esaltarne continuamente il profumo univoco e ineguagliabile, senza alterarlo, sfruttando la maestria culinaria racchiusa nelle ricette più antiche e apportando il contributo di tecniche e approcci più moderni.

“Furlo”

Dopo qualche esperimento in cucina, mi lascio guidare dai consigli dello chef, optando per un primo piatto locale, i “passatelli al tartufo”. L’impiattamento si regge su una base di fonduta cremosa che, benché sprigioni la sua decisa presenza all’olfatto, non è invadente. Si lega, anzi, alle essenze che le scaglie di tartufo bianco esprimono dopo essere state adagiate con generosità sui passatelli. Al palato percepisco rotondità, delicatezza, giusta consistenza e morbidezza.

“Furlo”

Gli abbinamenti consigliati

Nel piatto il tartufo bianco, principe della ricetta, ha però il ruolo di condimento di una profumata pasta all’uovo accompagnata dalla cremosità della fonduta. La circostanza è quindi tra quelle in cui prediligere vini bianchi non acidi. Focalizzo la scelta seguendo la linea dell’abbinamento “per concordanza” con vini che richiamano anche le note di idrocarburo del tartufo.

Un abbinamento principe, che affrontai per la prima volta durante i miei studi da Sommelier, e che poi ho messo in pratica in diverse degustazioni, è quello con i bianchi delle Langhe piemontesi, rinomati per la loro complessità. Penso a un GaviVentola” (13,5%) vendemmia vintage 2018, che conosco, apprezzo e suggerisco, della cantina “La Bollina”; e, del pari, propongo un Roero Arneis di Bruno Giacosa 2019, dalla gradazione identica: entrambi si caratterizzano per la migliore interpretazione di profumi e morbidezza. Qualche tempo fa ho degustato il Nascetta di Novello “Anas-Cetta” 2018 (13%) di Elvio Cogno, e ho un ottimo ricordo del  Timorasso - "Rugiada del mattino” I Carpini dei Colli Tortonesi, di buona complessità aromatica: entrambi morbidi ed equilibrati, con giusta sapidità e leggera mineralità idrocarburica, sono ottimi vini, in grado di esaltare i sapori della cucina che stiamo degustando. Suggerisco anche :

  • Chardonnay "I Sistri" 2018 - Igt Toscana (13,5%) - Fattoria Felsina.
  • Batard "Grand Cru" Montrachet 2013 - (13%) - Domaine Leflaive.
  • Vitovska in purezza - Venezia Giulia Igt 2017 - Cantina  Zidarich.
  • Riesling "Vigna Windbichel" 2018 - (13,5%) in Val Venosta - Tenuta Unterorti.

 

 

Valorizzazione dei vini del territorio con ricette regionali

Detto dei bianchi che vedrei sulla tavola insieme ai miei passatelli, l’effettiva scelta su cui ricado mi vede ancora una volta fedele al territorio. Propendo infatti per la profumata setosità di un bel Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2019 (13%) - Tenuta San Marcello, che al calice presenta un colore giallo paglierino intenso e apre piacevolmente l’olfatto a una complessità aromatica in bilico tra profumi fruttati e floreali (pesca mandorla e tiglio). Si percepisce una delicata mineralità che si interseca perfettamente con i sentori più intensi. È un vino che incanta, di giusta complessità e buona persistenza, con un finale ammandorlato. Da degustare nella sua interezza, come merita.

La scelta è personale, e scaturisce dal desiderio che vino e tartufo non vadano a sopraffarsi vicendevolmente, essendo entrambi portatori di profumi e sapori forti. Il vino giusto deve riuscire a evidenziare le caratteristiche organolettiche del tartufo bianco senza mai andare a sovrastarle.

“Furlo”

La Grotta: magica e suggestiva

La conclusione della mia esperienza all’Antico Furlo non può prescindere da un cenno alla “Grotta delle delizie”, vero asso nella manica di Alberto e Roberta. Da lì è iniziata la mia visita, degustando un aperitivo, e lì vi riporto per cercare di rendere giustizia, con parole e immagini, a un vero tesoro enogastronomico. Il nome, per quanto altisonante, è perfetto per descriverla: qui si trova la cantina, scavata direttamente nella montagna, con in rilievo il colore rosa della pietra tipica del Furlo. L’umidità controllata e perfetta consente di conservare a vista un’ampia scelta di vini, salumi e botti di aceto balsamico. Solo in alcune occasioni la “grotta” si concede al pubblico, per ospitare banchetti e assaggi su prenotazione. Se i piatti di Alberto non fossero sublimi, varrebbe la pena passare di qui anche solo per sbirciare e immergersi in questo prezioso anfratto nel cuore delle rocce.

Non ho dubbi, quando saluto Alberto e Roberta: questo rimarrà tra i miei posti preferiti, uno di quelli in cui tornare, presto e costantemente. La cordialità e il calore dei ristoratori, il caleidoscopio di profumi, gusti e sensazioni, l’inafferrabilità di un luogo come la gola del Furlo, ostaggio di un incantesimo in bilico tra storia e magia: lascio sedimentare ogni emozione, certa di ripartire più ricca di quando sono arrivata.

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